mercoledì 7 ottobre 2009

Nozze eleganti e divorzi alla moda.


Eccovi la riproposizione di un gustosissimo scritto di Wodehouse, uno dei padri dello humor inglese, su matrimonio e divorzio.

Da: Pelham Grenville Wodehouse, Nozze eleganti e divorzi alla moda, fa parte di: Id., Attorno e intorno al teatro, in: Id., Più forte e più allegro, Milano, Bietti, 1934, pp. 136-143.



L’altro giorno, dopo aver letto in un giornale la colonna dedicata all’etichetta in cui si diceva che la strana e graziosa usanza della presenza dei detectives ai ricevimenti di nozze stava scomparendo, se m’aveste toccato con una piuma sarei caduto in terra. Sì, quella notizia mi sconvolse. Un ricevimento senza un detective non è più un ricevimento. Poi, quando mi hanno spiegato la cosa, ho capito perché l’uomo con la sottoveste a fantasia e le scarpe larghe debba andarsene: i regali di nozze stanno diventando così spaventosamente brutti, che non c’è più bisogno di lui. Nessuna sposa e nessuno sposo, sani di mente, faranno opposizione se qualcuno li porta via.
La tendenza odierna è d’incoraggiare il taccheggio della stanza dei regali e di conseguenza i cleptomani sono esciti da quella nube sospettosa che li circondava, a motivo della loro infelice debolezza. Ora l’invitano da per tutto con la tacita intesa che si dedichino attivamente al loro lavoro misericordioso: mi si dice che sia uno spettacolo incantevole vedere la giovane sposa che sorride incoraggiantemente [inizio p. 136] ad uno di questi benefattori che esce dalla stanza barcollando sotto il peso di due massicci vasi dorati; o il giovane sposo che aiuta premurosamente un ospite a cacciare una coppa d’argento nella tasca del soprabito.
Alcune persone dell’alta società vanno ancora più lontano, e scritturano dei ladri professionali; abitudine che ha rialzato molto la situazione degli appartenenti ai bassi fondi, che vanno acquistando molta disinvoltura mondana, a motivo degli inviti numerosi a queste nozze eleganti; inviti che ricevono affinché rubino i regali. Credo che la spiegazione dell’epidemia dell’accento oxfordiano fra le cricche dei bassifondi che dà tanto da pensare a Scotland Yard, sia la loro crescente familiarità con le migliori famiglie.
Sono anche informato che il pretendente respinto non è più una caratteristica dei ricevimenti di nozze. Alcuni anni or sono, una sposa si sarebbe creduta disonorata se non avesse potuto riunire fra i suoi ospiti una mezza dozzina e più di pretendenti respinti: questa era un’abitudine che poteva a volte risolversi in uno spettacolo d’effetto, spontaneo e grazioso, come quella volta in cui Claudio Perkins, mentre con una mano sopprimeva i battiti del suo cuore ulcerato, con l’altra stringeva quella della sposa. Questo avvenne al ricevimento Bootle-Bartholomew. La città parlò a lungo dell’incidente e permise agli sposi di conquistare la posizione sociale di cui ora godono.
[inizio p. 137] Ma sono pochi i pretendenti respinti che assomiglino al povero Perkins e noi lo deploriamo. Forse è troppo chiedere a un giovinotto di suicidarsi soltanto perché un ricevimento di nozze finisca bene, ma si può almeno chiedergli che il suo contegno sia malinconicamente lusinghiero. Il pretendente respinto d’oggigiorno è stato escluso da molti ricevimenti di nozze appunto perché incapace di comportarsi in questo modo. Infatti non è raro il caso che questi giovanotti seguano il sistema opposto creando una situazione imbarazzante. Tutti rammenteranno la scena penosa avvenuta durante la cerimonia Mumbleby-Packsmith: Giorgio Packsmith dei Packsmith del Leicestershire, stava per rispondere al ministro che gli chiedeva se aveva nulla da dire prima che fosse pronunziata la sua sentenza, quando una voce di fondo alla chiesa gridò con accento di sincera congratulazione verso sé stesso. – Per grazia d’Iddio, Enrico Polwhistle Pipps è quaggiù.
Ciò dimostra che anche in materia di nozze, la moda cambia. Se il libro del cerimoniale sul quale fidate per trarvi fuori dalle difficili acque della vita sociale è vecchio di due o tre anni, sarà bene che ve ne procuriate l’ultima edizione. Altrimenti commetterete qualche gaffe.
È indispensabile far questo specialmente negli Stati Uniti d’America; dove non soltanto l’ospite, ma anche il ministro officiante deve essere al corrente delle ultime sanzioni. A motivo della [inizio p. 138] diffusione sempre crescente del divorzio, le cui leggi differiscono in America da Stato a Stato, (di modo che lo scioglimento di un matrimonio avvenuto in uno Stato non è valido in un altro) il ministro si fornisce assolutamente di una carta geografica, che gli serve come mappa di guerra, e che consulta nel momento critico della cerimonia.
Un mio amico che ha fatto da mazziere in un matrimonio elegante celebrato a New York in questi ultimi tempi (tutti e due gli sposi avevano fatto diverse false partenze nella corsa matrimoniale) mi ha raccontato che quando il vescovo officiante rivolse allo sposo le seguenti parole: «Vuoi tu, Rockmetteller, nel bene e nel male, prendere per moglie questa Genovieffa in Pensilvania, Massachusetts, Rhode Island, Arkansas, Nevada, Utah, Colorado ed altri stati dell’Ovest?» gli occhi di tutti i presenti si riempirono di lacrime.
Il sistema di fare le prove delle cerimonie nuziali va acquistando molto favore. Quest’uso, nato in America, offre molti vantaggi: soprattutto offre alla sposa la possibilità di diminuire al fidanzato la violenza dell’urto somministrandogli a piccole dosi la propria parentela invece di fargliela inghiottire in un sorso solo. E così, quando egli sarà assuefatto alle molteplici zie e cugine si troverà in forma migliore per sopportare la commozione della conoscenza dello zio Giuseppe che arriva dalle Colonie.
L’argomento dei matrimoni è inesauribile; si [inizio p. 139] tratti delle prime nozze di una ragazza comparsa in società quest’anno, e delle ultime di Ghita Soyce, la cosa suscita sempre l’interessamento e la commozione di tutti. Quali visioni evoca la fantasia della gente! La sposa col volto serio e risoluto… Lo sposo che si dà un pizzicotto nella speranza che si tratti soltanto di un sogno… I mazzieri che cercano inutilmente di persuadere una lontana parente che ha un biglietto segnato «Secondo recinto, L. 19», che non ha il diritto di sedersi in un posto di fianco… Come dico, ci sarebbe da non smettere più di scrivere. E anche lo farei, ma il mio spazio è limitato e non ho ancora sfiorato come ho promesso nel mio titolo, l’argomento quasi altrettanto affascinante del Divorzio.
Il Divorzio, che può essere un esperimento occasionale, come nel caso di semplici cittadini, o una manìa, come lo è per le stelle di Hollywood, potrebbe essere efficacemente definito come uno strattagemma per mezzo del quale un uomo risoluto, che abbia molto tempo da perdere, può godere i vantaggi di essere un Mormone senza bisogno di farsi crescere la barba e di vivere nella Città del Lago Salato [Salt Lake City, N.d.C.]. Il divorzio è molto comune in America, che è la terra della libertà (o di coloro che vogliono essere liberi), appena hanno messo da parte abbastanza danaro per pagare le parcelle degli avvocati), dove, come è stato detto argutamente, ogni fanciulla diventa una donna con la certezza che, per quanto umile possa essere la sua [inizio p. 140] situazione, può capitarle la fortuna di sposare un giorno Charlie Chaplin o il Marchese delle Falaise de la Foudraye.
Nell’anno 1927 ci sono stati negli Stati Uniti d’America 192.037 divorzi; nel 1929, un anno straordinario, ve ne furono 201.459, ma bisogna ricordare che questo fu l’anno del grande panico in borsa, e nei seguenti dodici mesi si ebbe una diminuzione scoraggiante: i divorzi scesero a 191.591. (Mancava il danaro). I mariti dovettero accontentarsi di riverniciare a nuovo la vecchia moglie, mentre le mogli furono costrette a portare ancora per un anno l’abito modello dell’ultima stagione. Si prevede che le cose si raddrizzeranno fra breve e che il Divorzio rifiorirà di nuovo in tutto il suo vigore. Indizio questo, del ritorno della prosperità.
Pare che il Divorzio, in America, oscilli secondo il clima. Negli Stati dell’Est la percentuale è di 147 per 100.000. Salendo verso le montagne l’aria diventa più frizzante e la percentuale sale a 543 per 100.000 mentre sulla costa del Pacifico arriva a 656. Queste cifre, però, comprendono la statistica dei divorzi di Hollywood che raramente risponde alla verità.
Impressionati da queste statistiche, noi Inglesi riteniamo erroneamente che l’America sia la nazione del mondo che ha la percentuale più alta di divorzi. Non è vero: anche a rischio di spingere la colonia cinematografica a compiere sforzi maggiori, [inizio p. 141] bisogna affermare la verità: l’America, di fronte al Giappone, è, in questo ramo speciale d’industria, una timida novizia. Nel Giappone ci sono trentaquattro divorzi su mille abitanti, mentre negli Stati Uniti ce ne sono appena tredici. Dev’essere una malinconica consolazione per i patriotti americani sapere che la Svizzera, che vien subito dopo, ne conta soltanto tre.
Con questa rivelazione c’è da scoraggiare il popolo più energico e perseverante. La ragione non è difficile da capire: mentre alcuni Stati Americani fanno tutto quello che possono (e noi facciamo tanto di cappello a Washington dove ci sono undici motivi, ben separati e distinti di divorzio), altri stanno in ozio. Nella Carolina del Sud, per esempio, ora è proibito divorziare, e in molti Stati non si può ottenere il divorzio per motivi pienamente giustificati come quelli di non rispondere al colore del compagno, giuocando a bridge, di raccontare a colazione quello che si è sognato la notte, e di strizzare il tubetto del dentifricio dalla parte contraria. È naturale che i Giapponesi, sempre pronti a marciare come un sol uomo in tutti i movimenti patriottici, abbiano potuto conquistare facilmente il primo posto.
In Inghilterra l’esame della situazione è abbastanza confortante. Ci fu un tempo in cui, a memoria di alcuni di noi che siamo anziani, ma ben conservati, il divorzio accadeva soltanto sulla scena: all’infuori delle commedie, era una rarità. [inizio p. 142] Poi venne il famoso discorso del Re «Svegliati, Inghilterra» e la vecchia nazione si riscosse dalla sua letargia. Nel 1918 le cifre del 1917 si trovarono raddoppiate, ma oggi, il totale, è inferiore di un terzo al numero raggiunto in quell’anno. Tutto considerato, abbiamo più merito, oggi, con un divorzio ogni ottantotto matrimoni, di quanto ne avessimo con uno ogni novantadue, nell’anno scorso, e con uno ogni cinquecento prima della guerra.
Ma anche ammettendo che ci sia stato un grande miglioramento è una cosa sorprendente che il Giappone salga ad una percentuale che ci pare degna di rispetto senza che facciamo nulla per imitarlo. Quando ci guardiamo intorno e vediamo come sieno disgustosi i nostri simili, pare impossibile che soltanto una minima parte prenda ogni anno la ragionevole decisione d’interrompere ogni rapporto con loro.
Si potrebbe supporre che il motivo fosse la grave spesa che importa il divorzio. I giudici, in materia di alimenti, danno prova di quella spensierata generosità che si riscontra soltanto in coloro che spendono il danaro degli altri. Il nostro paese ha bisogno di un divorzio di medio costo.
Ecco altre cifre giapponesi. Gli alimenti, nel Giappone, vengono computati a yen, e un yen, se me lo rammento bene, vale tre millesimi di sterlina, e ciò significa che il nostro Giapponese può divorziare sei volte all’anno spendendo quello che [inizio p. 143] gli costerebbe a Londra di mancia il capo-cameriere di un circolo notturno che gli assegnasse un tavolo lontano ventisette piedi dallo spazio dove si balla e che fosse proprio dietro a una colonna.
Ancora noi non godiamo le facilitazioni di cui si gode in America. C’è stata una negra nel Kentucky che ha ottenuto il suo divorzio con questo semplice procedimento: è andata dal giudice e gli ha detto: «Efraim non mi piace più!» Ecco il coraggio con cui si conquista la vittoria!
[trascrizione a cura di Leone Venticinque]

Nessun commento:

Posta un commento