sabato 14 novembre 2009

Hernando e il cerimoniale del Viceregno


Carlos Hernando Sánchez è stato il pri­mo studioso ad occuparsi in maniera in­novativa di feste e cerimoniali, materia tut­t’altro che accessoria rispetto alle tradizio­nali coordinate storiografiche. Come e perché lo spiega egli stesso: «Nel vicere­gno di Napoli, e non solo in questo, il ruo­lo dell'immagine reale e quello del cerimo­niale ha un significato fondante, che non possiamo interpretare con i valori contem­poranei».



Non erano, dunque, mere ope­razioni pubblicitarie.

«Tutt’altro. Gli stori­ci sbagliano quando per analizzare l’idea di cerimoniale utilizzano il concetto di propaganda che è per statuto concetto borghese, nato dopo la rivoluzione indu­striale. Non si può parlare di quel mecena­tismo pensando alla propaganda. Nel vice­regno ci troviamo di fronte a un cerimo­niale celebrativo e commemorativo tutt’al­tro che superficiale: perché qui apparire è lo stesso che essere. Per noi non è così. La propaganda vuole comunicare un messag­gio, nel cerimoniale spagnolo si celebra la gloria di Dio, dei nobili, degli istituti cor­porativi. Insomma c’era un fine sociale che non era il consumo e di massa. Non si doveva necessariamente capire. Anzi, non si doveva capire affatto. Alcune pitture e iscrizioni non sono fatte per esser lette proprio come la colonna di Traiano il cui nastro istoriato si eleva fin dove non arri­va lo sguardo umano. Le gesta non si devo­no vedere ma celebrare».



E la festa?

«È una cerimonia collettiva. Non ci sono limi­ti tra spettatore e attore, tutti diventano protagonisti di questo spettacolo. Il lin­guaggio della festa istituzionalizza anche il conflitto. In questo senso, Napoli tra Cin­que e Seicento sviluppa un modello di ce­rimonia- festa di importanza europea. Ed è più creativa della stessa Spagna, certa­mente delle altre corti vicereali. La storio­grafia ha sempre puntato i riflettori su Fi­renze e Venezia, ma è Napoli la vera capita­le della festa: qui la festa è creazione cultu­rale, motore dell’immaginazione artisti­ca».



Un talento endemico, dunque. Come mai?

«Perché Napoli era l’unica grande monarchia nel basso medioevo agioi­no- aragonese. Aveva una nobiltà tra le più importanti d’Europa, ricca e politicamen­te attiva. Tutti gli altri dovevano compete­re con questo splendore».

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